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Stella Gallello a Montepaone

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Venerdì  17 agosto 2018, abbiamo presentato il libro Immagine di Stella Gallello nella sala consiliare di Montepaone (CZ), all’interno del palazzo Pirrò.

Ringrazio tutti i numerosi presenti, in particolare i relatori Caterina Voci e Sandro Betrò, entrambi autori di interventi di assoluto livello, e l’amministrazione comunale rappresentata dal sindaco Mario Migliarese.

Ringrazio per la calorosa accoglienza e ospitalità.

Un grazie di cuore alla giovanissima Stella Gallello, un’autrice colta e preparata, molto in gamba, che farà strada.

Di seguito l’intervento di Stella ed alcune immagini della serata scattate dai suoi amici.

Se volete acquistare il libro visitate il sito al seguente link: vai al sito.

Alla prossima.

Ad Maiora Semper.

 

MarioVallone

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Buonasera a tutti,

innanzitutto vorrei ringraziare il sindaco Mario Migliarese per avermi concesso questa sala, grazie a Sandro Betrò e a Caterina Voci per essere qui a discutere con me sul mio libro. Grazie al mio editore Mario Vallone, che mi ha permesso di realizzare la mia prima pubblicazione. Immagine è stato il primo libro a esser pubblicato con il nuovo marchio della Mario Vallone Editore.

Un grazie va anche a Giovanna Vecchio, che ha curato la prefazione, e a Francesca Maccarone, che mi ha aiutata nel labor limae.

Grazie ai presenti, ai miei genitori, ai miei amici, a chi mi ha già letta e a chi mi leggerà.

Questo libro è dedicato a tutti quelli che mi conoscono, e qui mi conoscete più o meno tutti. Per questo ho sentito il bisogno di presentare il mio libro nel luogo dove sono cresciuta.

Come molti di voi sanno, sono laureata in Lettere, ma questo libro di poesie è stato concepito prima ancora di diventare dottoressa nelle discipline umanistiche. Dico questo perché ritengo che il mio essere “scrittrice” lo devo non alla mia professione, ma alla mia personalità, fin da giovanissima molto sensibile.

Mi preme mettere al centro il concetto di empatia: mettersi sempre nei panni altrui, comprendere gli altri. Una frase che ripeto sempre ai miei colleghi è questa: prima di diventare laureati, medici, avvocati, professori, ingegneri, bisogna diventare brave PERSONE. Solo così potremmo essere utili per il prossimo e potremmo essere ricordati dal prossimo.

Altra parola chiave è conoscere: conoscere per me, come anche per la scrittrice Elsa Morante, equivale ad amare. Quando siamo disposti a conoscere gli altri significa già che li amiamo. Conoscere gli altri presuppone conoscersi. Ma spesso non conosciamo noi stessi, ci confondiamo, ci perdiamo, ma possiamo sempre riconoscerci nell’altro, che ci fa da specchio. Ecco perché Immagine, perché siamo stati  creati a “immagine e somiglianza”, perché la nostra storia è simile a quella di qualcun altro. Come dicevano i latini “nulla di umano mi è estraneo”.

Ecco, questo libro sembrerebbe apparentemente una semplice raccolta di poesie d’amore. Ma qui ho voluto descrivere le varie sfaccettature dell’animo umano, ho voluto dimostrare, così come affermava anche Ludovico Ariosto, come i rapporti interpersonali si basino sulla finzione, sulla non trasparenza e sull’incoerenza. Come diceva Machiavelli: “cambiano i tempi, ma l’animo umano rimane sempre lo stesso”. Ora non voglio, però, sostenere la tesi machiavelliana dell’antropologia negativa. Al contrario, ho voluto e voglio mostrare la bellezza dei sentimenti proprio nella loro contraddizione.

La poesia Finzione racchiude questo concetto e s’ispira al libro di Pirandello Uno, nessuno, centomila:

Finzione

Mi domando chi sei

ma neanch’io so chi sono

mi raccontano gli altri

e io racconto loro.

Vivo solo in una casa di specchi,

riflette immagini,

illusioni,

ed è tutto finzione.

Pirandello parla di ruoli, maschere, finzioni, parla di apparenze, di come una persona può essere descritta in centomila modi dalle persone che le stanno accanto. Allora qui il rischio è quello di non riconoscere la propria immagine nelle parole altrui, il rischio è perdere la nostra identità. L’altro riflette un’immagine di noi che non conosciamo, che ci spaventa, ma ci appartiene.

Per quanto possiamo mentire a noi stessi considerandoci indipendenti, in realtà dipendiamo dagli altri. Per questo motivo ho considerato la silloge come  “ confronto del mio Io con gli altri”.

Il quartetto Tutto o niente mostra come siano gli altri ad attribuirci importanza. Come possiamo essere contemporaneamente” tutto” o “nessuno” per qualcun altro . Leggo:

Ritorno a esser tutto

per chi non ero niente

Allora chi sei dipende dalla gente:

tutto o niente.

Quante volte ci capita di avere molta considerazione da parte delle persone all’inizio di qualsiasi rapporto e poi vederla ridursi pian piano? Nel nostro microcontesto capita spesso. Anche il silenzio è un segnale di come una persona si possa allontanare da noi, anche senza alcuna motivazione valida. Da qui il tema dell’esclusione nella poesia Morire in silenzio.

Silenzio e finzione sembrano camminare di pari passo: significano “dissimulazione”.

E così relativamente nella poesia Infelice e Silenzio ho messo in evidenza, con giochi di parole, quello che si cela dietro il silenzio di una madre e di un figlio, di un uomo e di una donna. Leggo:

Infelice

                                                       

È più forte chi muore

dentro

e non lo dice,

perché, vedi,

una madre finge

per vedere il figlio

felice,

e un figlio non dice

alla madre che è

infelice.

 

Silenzio

 

Il mio silenzio

è diverso dal tuo.

Da un lato c’è il silenzio di una madre che finge di non avere problemi davanti al figlio, per non farlo preoccupare e per vederlo felice, dall’altro un figlio che nasconde alla propria madre ciò che lo rende infelice.

Il silenzio cela, quindi, due comportamenti opposti: nella poesia Silenzio ho rappresentato il modo diverso in cui uomo e donna si relazionano.  Anche in questo caso abbiamo un uomo indifferente e una donna che finge di esserlo, che non cerca, ma immagina di essere cercata. A minacciare l’intesa l’orgoglio, mentre ad alimentare il sentimento è proprio quest’ambigua condotta.

Le parole sono il contrario del silenzio, ma spesso, queste, più che per risolvere le situazioni,  vengono utilizzate per ferire. Come scrivo nella poesia Le tue Parole.

Parole che ricorrono spesso sono, dunque, la paura, la solitudine, la delusione, l’abbandono, il dolore. Ricorre spesso anche il concetto di destino, invincibile, come dice Verga, andargli contro significherebbe essere sconfitti due volte. Ciò non significa, però, per me, che non bisogna sfidarlo, che non possiamo scegliere, o che esso non ci dia seconde possibilità.

Lo stile di queste poesie è essenziale, chiaro, epigrammatico. Il linguaggio è diretto, ironico, discorsivo, reale. Amo utilizzare le rime interne, derivate, le assonanze, le consonanze, la paronomasia, per creare ritmo.

Figure retoriche ricorrenti sono la similitudine e la metafora, ma anche l’anafora, l’allitterazione, il poliptoto, il polisindeto. Le fonti d’ispirazione non sono esplicite. Sicuramente ho interiorizzato molte letture; mi avvicino di più ad autori moderni e contemporanei. La poesia Te ne vai mi ricorda, infatti, Alicante di Prevert. La voglio leggere e comparare alla mia:

Alicante                                                                    

Un’arancia sul tavolo.

 Il mio vestito sul tappeto

 E nel mio letto,tu

 Dolce dono del presente

Frescura della notte

 Calore della mia vita.

 Te ne vai

A me basta sentire la tua voce

per chiudere gli occhi,

una stretta di mano,

il caldo del tuo respiro

affannato

e le mie gambe fra le tue.

Io lo so che, passo dopo

passo,

non potrai essere la mia

ombra,

e quella ventata sotto le lenzuola

lascia il freddo,

quando te ne vai.

Nella poesia Pecora tra i lupi, invece, contamino volutamente due parabole del Vangelo, quella della pecora smarrita e quella del figliol prodigo. Tutti ne conosciamo la storia. Spesso il bisogno di sentirci amati ci porta a idealizzare qualcuno, a inseguirlo e ad allontanarci da chi già “ci conosce e ci ama”. Sta allora a chi ci vuole bene lasciare tutto  per riportarci sulla retta via e perdonarci.

Pecora tra i lupi

Vorrei poter cancellare tante cose

tuffandomi in acqua,

come se fossi un grave

attratto dalla Terra.

Confusa e impaurita,

vorrei poter correre su prati distesi,

e, all’imbrunir del giorno,

star lontana dai lupi.

Sono una donna smarrita,

pecora senza padroni,

libera, ho perso la strada.

Questa è la mia libertà cercata,

questa è la mia libertà data.

Bisogna far esperienze

per tornare al buon gregge,

con le lacrime addosso,

con il segno di Cristo.

Adesso c’è gente che mi aspetta,

pronta a far festa,

ma chi lo sa se scapperò di nuovo,

lontano da chi mi ama.

Nel libro parlo spesso anche di limiti, errori, e della stessa paura di sbagliare. La vita è come un’onda che ci trascina e non si può fermare nell’attesa di una nostra decisione. Con questo voglio dire che le occasioni devono essere colte al volo, perché sono le occasioni, quei “momenti distratti e subito dopo persi”, che danno nome alla felicità.

Della poesia che ho appena letto voglio far notare, in conclusione, l’immagine della caduta. Il termine cadere o caduta lo ritroviamo spesso nella Bibbia ma anche nella fisica; qui ho voluto  paragonare la caduta di un grave alla caduta dell’essere umano, che serve per fargli ritrovare l’umiltà perduta, per chiedere perdono. Tutti abbiamo paura di cadere, ricadere negli stessi errori, di fallire, ma finché c’è vita si può sempre rimediare.

Come dice Leopardi, (ne La Ginestra), bisogna restare umili, compatirci, perché abbiamo una sola vita e un medesimo destino.

Stella Gallello

 

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